I giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo, presieduta da Mario Fontana, hanno depositato le motivazioni della sentenza del processo al generale dei carabinieri Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu accusati di favoreggiamento aggravato alla mafia. I due ufficiali il 15 luglio scorso sono stati assolti. La sentenza è lunga 1.322 pagine.
“Il quadro probatorio emerso dalla articolatissima istruzione dibattimentale si presenta spesso, nei vari segmenti che lo compongono, incerto, talora confuso ed anche contraddittorio. Esso è formato da indicazioni frammentarie che in molti casi possono essere ricondotte ad una sintesi solo con il ricorso ad elaborati ragionamenti: tale metodo, però, non sempre garantisce il raggiungimento di risultati sicuri”: così i giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo, che hanno assolto gli ufficiali dell’Arma Mario Mori e Mauro Obinu dall’accusa di favoreggiamento alla mafia, nelle motivazioni della sentenza, depositate oggi, definiscono le prove raccolte dai pm.
“Scelte operative discutibili, astrattamente idonee a compromettere il buon esito di una operazione che avrebbe potuto procurare la cattura di Bernardo Provenzano”: così i giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo definiscono le indagini finalizzate alla cattura del capomafia di Corleone svolte dagli ufficiali del Ros Mario Mori e Mauro Obinu. Entrambi sono stati accusati di favoreggiamento alla mafia proprio per avere bloccato il blitz che, ad ottobre del 1995, secondo la Procura, avrebbe potuto portare alla cattura del padrino. Il tribunale, che li ha assolti, ha depositato oggi le motivazioni della sentenza che, pur avendo escluso la responsabilità degli imputati, bolla certe loro condotte. “Si deve, però, rilevare che, benché non manchino aspetti che sono rimasti opachi – concludono i giudici – la compiuta disamina delle risultanze processuali non ha consentito di ritenere adeguatamente provato – ad di là di ogni ragionevole dubbio, come richiede la legge – che le scelte operative in questione, giuste o errate, siano state dettate dalla deliberata volontà degli imputati di salvaguardare la latitanza di Bernardo Provenzano o di ostacolarne la cattura”.
“Resta senza riscontro la eventualità che Paolo Borsellino abbia in qualche modo manifestato la sua opposizione ad una trattativa in corso fra esponenti delle Istituzioni statali e associati a Cosa Nostra”. Lo scrivono i giudici palermitani nelle motivazioni della sentenza che a luglio ha assolto i militari dell’Arma Mario Mori e Mauro Obinu dall’accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia.
Per il collegio non ci sarebbero le prove che il magistrato, come ha sostenuto la Procura, sia stato ucciso perché aveva scoperto che pezzi delle istituzioni, attraverso i carabinieri del Ros, avevano iniziato un dialogo prima con il boss Toto’ Riina, poi con Bernardo Provenzano, attraverso l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. “Da ultimo, si deve rilevare che alcuni dati sembrano indicare che la strage di via D’Amelio – scrivono – fosse già programmata da tempo e non sia stata frutto di una decisione estemporanea, dettata da contingenze del momento”.