Una botola per l’inferno. Il racconto di chi ha raccolto le salme dei naufraghi annegati e accolto i sopravvisuti
LAMPEDUSA (AG), 4 OTTOBRE 2013 – È uguale a quella nella foto la botola in cui, ingenuamente, almeno un centinaio di migranti, stipati corpi su corpi, hanno cercarto la salvezza quando il barcone con cui speravano di raggiungere l’agognata Europa è andato a fuoco. Una scelta che ha significato la fine per loro. La vecchia carretta è affondata e loro sono morti annegati. E i soccorritori temono che lì dentro ci siano ancora molte donne e bambini. “L’istinto delle mamme – spiega un responsabile dell’Asp di Palermo – spesso le spinge a rifugiarsi nella stiva per proteggere le loro creature e non sanno che è invece un errore fatale”. I sommozzatori hanno raccontato di aver visto all’interno della stiva del barcone affondato almeno un centinaio di corpi.
I racconti di chi ha raccolto le salme e accolto i sopravvissuti al molo Favaloro di Lampedusa è straziante. “Chi riesce a rimanere vivo – racconta un poliziotto – arriva stravolto dal mare, dalla paura, dalla perdita dei propri compagni, dalle pessime condizioni in cui viaggiano per giorni”. L’odore dei corpi, infatti, delle pessime condizioni igieniche in cui sono costretti a sopravvivere, è ancora forte nel barcone di un altro sbarco che si trova ormeggiato al molo.
“I bambini morti che abbiamo raccolto – racconta Pietro Bartolo, responsabile del Poliambulatorio dell’isola che si è occupato delle ispezioni cadaveriche dei migranti annegati – indossavano i vestiti più belli, le scarpette nuove con le suole non ancora lise. Fa male vederli e immaginare il futuro che non avranno”.