In Italia sono migliaia le persone che sono state sottoposte a una trasfusione di sangue infetto. Loro combattono sia contro la malattia che contro un sistema di leggi che non li tutela. Gli approfondimenti in merito non sono mai abbastanza. A parlarne è l’avvocato Alessandro Gravante dello Studio Legale Internazionale Giambrone Law che ha ricostruito il complesso iter legislativo.
PALERMO, 2 OTTOBRE 2013 – Con legge ordinaria n. 210 del 1992, lo Stato italiano ha stabilito, in materia di indennità per vittime da trasfusioni di sangue infetto, il diritto alla corresponsione di un’indennità integrativa speciale, da rivalutarsi ogni anno in base al relativo tasso d’inflazione.
In realtà, disattendendo il dettato normativo del legislatore del 1992, lo Stato Italiano non solo non ha mai provveduto al pagamento della indennità integrativa speciale (che rappresenta la parte più importante dell’indennizzo), per come ivi previsto, ma piuttosto ha successivamente abrogato la predetta legge con la emanazione del D. L. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.
Ma andiamo all’origine dei fatti. A cavallo fra gli anni ottanta e novanta, 162 cittadini italiani venivano contagiati da virus a seguito di trasfusioni di sangue infetto, e rimanevano senza alcun indennizzo da parte dello Stato. I contagiati, a seguito delle trasfusioni col sangue infetto, si sono ammalati di epatite o Aids a seguito a trasfusioni di sangue o emoderivati infetti, non controllati dal Servizio sanitario nazionale.
A seguito di quanto accaduto, il legislatore del 1992 intervenne con la legge n. 210, al fine di tutelare i diritti dei propri cittadini, riconoscendo ad essi un indennizzo da parte dello Stato, da rivalutarsi annualmente. Tuttavia, a tale legge dello Stato non venne mai – di fatto – data piena attuazione, e ciò in quanto venne versata ai cittadini solamente l’indennizzo, ma non l’indennità integrativa speciale, ivi prevista.
A seguito dei numerosi contenziosi (si pensi che sino al maggio 2013 sono state respinte migliaia richieste da parte dei contagiati), nel 2005, la Suprema Corte di Cassazione aveva stabilito che le due parti costituenti l’indennizzo (cioè la parte fissa e la parte variabile di essa) dovevano essere rivalutate ogni anno in base all’inflazione.Una interpretazione rivista quattro anni più tardi, quando la Cassazione ha indicato come rivalutabile solo la parte fissa dell’indennità.
Tuttavia, nel 2010 la rivalutazione veniva abolita attraverso il D. L. n. 78, sul quale si è espressa anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 148 del 2012 dichiarandolo illegittimo, pur senza dare una univoca risposta in merito alla questione della rivalutazione delle indennità per le vittime da trasfusioni di sangue infetto, le quali continuarono a non percepire quanto a loro dovuto. Soltanto con la sentenza del 03.09.2013 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) di Strasburgo, ha condannato l’Italia a versare, a tutti i pazienti infetti, l’indennità integrativa speciale prevista dalla legge 210/1992.
Tutto ciò, come ha commentato il Presidente dell’Associazione politrasfusi italiani, Angelo Magrini, rappresenta una “importante vittoria per tutti i 60mila cittadini italiani infettati da trasfusioni di sangue”. Secondo i giudici di Strasburgo, l’adozione da parte del governo del decreto legge d’urgenza n. 78/2010 sulla controversa questione della rivalutazione viola il principio dello Stato di diritto e del giusto processo. Ai pazienti, si è espressa la Corte, è stato quindi imposto un “peso abnorme ed eccessivo”.
Si tratta indubbiamente, di un grande successo perché, grazie a questa sentenza, la quale avrà efficacia erga omnes, e quindi non solo nei confronti dei 163 ricorrenti ma di tutti i cittadini italiani, si riconosce a tutte le vittime di trasfusioni , senza differenze, la possibilità di percepire gli arretrati dell’adeguamento ISTAT per l’indennizzo loro riconosciuto, a partire dal momento del riconoscimento per legge della loro condizione. Dal dispositivo della sentenza è, infatti, chiaro che il diritto alla rivalutazione dell’indennità “riguarderà tutti i circa 60mila cittadini italiani infettati”, permettendo così che vengano riconosciute pari opportunità a tutti i cittadini.
La Corte ha quindi invitato lo Stato italiano a stabilire, entro sei mesi dalla data della sentenza definitiva, un termine perentorio in cui si impegna a garantire l’attuazione efficace e tempestiva dei diritti in questione. Attualmente, i cittadini infettati ricevono un indennizzo, sulla base della legge 210 del 1992, pari ad un minimo di circa 540 euro al mese, pagati bimestralmente.Ora, per effetto della sentenza, i cittadini infettati arriveranno a percepire circa 100 euro in più al mese. Un adeguamento che sicuramente costituirà un concreto aiuto al sostenimento delle spese per farmaci a carico dei cittadini italiani affetti da patologie relative alle predette trasfusioni.