REGGIO CALABRIA, 24 SETTEMBRE 2013 – “Abolirei subito la Dia perché le stesse indagini le fa la polizia. Dobbiamo semplificare, non creare e mantenere nuovi uffici e servizi”. Questa è la provocazione lanciata dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, durante un’intervista con Carlo Parisi, vicesegretario della Federazione nazionale della stampa e segretario del Sindacato giornalisti Calabria.
L’intervista, rilasciata a margine della presentazione del libro scritto con Antonio Nicaso “Dire e non dire – I dieci comandamenti della ‘ndrangheta nelle parole degli affiliati”, fatta al Festival internazionale del libro di Taormina, contiene dichiarazioni al vetriolo anche nei confronti degli ultimi tre ministri della Giustizia: “Alfano, Nitto Palma e Severino, cos’hanno fatto? – si chiede Gratteri – Per cambiare le cose, per dare un senso alla lotta alle mafie bisogna avere il coraggio di sporcarsi le mani.
Parlando dei possibili interventi per migliorare la lotta alle mafie, Gratteri ha sostenuto che ”se i tribunali fossero delle imprese private fallirebbero subito. Il codice di procedura penale va modificato, informatizzato. Si risparmierebbero tempo, denaro ed energie. Vanno inasprite le pene. Non si può accettare che un mafioso resti in carcere solo 5 anni. Le carceri: non ne vanno costruite di nuove, ma ampliate quelle che già esistenti. E, fattore fondamentale, dovrebbe essere introdotto il lavoro come terapia riabilitativa”.
Il magistrato ha poi annunciato che ”a novembre dovrebbe uscire un nuovo libro, questa volta incentrato sul rapporto tra ‘ndrangheta e Chiesa. Preti e vescovi ci hanno detto più volte che le nostre sono invenzioni. Che non esiste alcun legame tra il Santuario di Polsi e gli ‘ndranghetisti. Ma purtroppo non è così: i capimafia hanno un rapporto strettissimo con la Madonna di Polsi. Un legame reale e documentato attraverso video e intercettazioni. Così come è realtà che lo ‘ndranghetista prega prima di compiere un omicidio o qualsiasi altra barbarie. Il rapporto del mafioso con la Chiesa è molto stretto. Il mafioso vuole farsi vedere vicino agli uomini di Chiesa. E vuole che lo veda la gente, perché le mafie vivono all’interno della società. Hanno bisogno, per vivere, del consenso popolare”.