Palermo, operazione Alexander: azzerato il clan di Porta Nuova. Arrestato Alessandro D’Ambrogio

di Redazione

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Palermo, operazione Alexander: azzerato il clan di Porta Nuova. Arrestato Alessandro D’Ambrogio

| mercoledì 03 Luglio 2013 - 05:04

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PALERMO, 3 LUGLIO 2013 – Maxi operazione antimafia a Palermo: azzerato il mandamento di Porta Nuova a Palermo, in manette il boss emergente  Alessandro D’Ambrogio e numerosi affiliati ai mandamenti di Brancaccio e Mazara del Vallo. L’operazione Alexander è stata condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Palermo: arrestate 24 persone accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti.

 

Altre sei persone sono state raggiunte in carcere dalla nuova ordinanza, due sono ancora irreperibili. Le indagini, coordinate dai procuratori aggiunti Leonardo Agueci e Teresa Principato e dai sostituti Caterina Malagoli, Sergio Barbiera e Francesca Mazzocco, hanno consentito di ricostruire gli assetti e le dinamiche criminali del mandamento mafioso palermitano di Porta Nuova, individuandone capi e gregari. 

 

Tra i fermati anche Alessandro D’Ambrogio, ritenuto al vertice del mandamento. L’operazione dei carabinieri prende il nome da lui che è considerato uno degli uomini di Gianni Nicchi, ed è stato il punto di riferimento del giovane boss durante il periodo di latitanza a Milano. 

 

Oltre a D’Ambrogio, in manette sono finiti tra gli altri il suo braccio destro Antonio Seranella, Giuseppe Di Maio, Alfredo Geraci, Attanasio La Barbera, Giuseppe Civiletti e Giacomo Pampillonia.

 

Spregiudicato e temuto, così gli inquirenti descrivono D’Ambrogio che per questo era rispettato anche dai più influenti dei mandamenti di Pagliarelli, San Lorenzo-Tommaso Natale, Brancaccio, Noce-Altarello, Acquasanta-Arenella, Santa Maria del Gesù. D’Ambrogio era uscito di carcere nell’aprile del 2011 e a dicembre succede a Nicolò Milano, diventando il capo della famiglia di Palermo centro. Otto mesi dopo aveva conquistato la reggenza de mandamento. E al vecchio boss Antonino Ciresi affida la reggenza di Borgo Vecchio.

 

Il boss in ascesa era diventato il punto di riferimento del quartiere, ossequiato durante le processioni o le manifestazioni pubbliche, a lui si rivolgevano per essere “autorizzati” a vendere sigarette di contrabbando, lo “sfincione” o le “stigghiole”. Ma si interessava anche delle famiglie dei detenuti, per dirimere controversie o, ad esempio, per procurare un’abitazione. Ecco cosa intercettavano i carabinieri: “… perché uno si interessa per te … ma tu l’hai vista la casa! … tu devi ringraziare … perché a noialtri se tu ci vai a stare o non ci vai a stare forse lo stiamo facendo per te … perché a noialtri soldi non ce ne entrano … anzi, io parlo con i miei figli fallo entrare la dentro, sistemalo … fa … non ti piace! io capisco che non ti piace però tu devi capire l’esigenza … …tuo padre non è la fuori tuo padre! non ne che si sta interessando tuo … ci stiamo interessando noialtri no tuo padre … la situazione è questa“.

 

Dalle indagini emerge un soffocante giro di estorsioni. Nel mirino era finito, fra gli altri, Pietro Maione, titolare del Mambo Beach di Isola delle Femmine, imprenditore, un anno fa, si era rivolto ad Addio Pizzo e Libero Futuro. Maione diventa vittima del racket quando, per contrasti, decide di estromettere il suo socio Ignazio Li Vigni che si rivolge a D’Ambrogio. iniziano le minacce. Maione viene portato in un magazzino e minacciato: “tu mi conosci a me? … li vedi? noi siamo i cani, basta un mio cenno per farti attaccare! … domani portagli (a Li Vigni, n.d.r.) le chiavi entro mezzogiorno e stai attento a come ti muovi altrimenti ti butto sugli scogli a te e ai tuoi figli!”)”. Maione veniva praticamente estromesso, costretto a consegnare il suo locale a Li Vigni che finiva però per diventare anch’esso vittima.

 

Li Vigni infatti viene intercettato mentre parla con una donna, sua potenziale socia, alla quale dice di portare 50 mila euro, soldi che gli serviranno a mettersi a posto. La donna però non li porta e in una successiva intercettazione Li Vigni dice: “niente, oggi sono andato all’appuntamento… e gli ho dovuto dare le chiavi, sono chiuso”. 

 

Ma il pizzo non basta va più. I carabinieri hanno accertato che il sodalizio si è alleato con altre consorterie mafiose della città e dell’area trapanese per gestire le “piazze dello spaccio” e, come negli anni Ottanta, l’approvvigionamento degli stupefacenti direttamente dai Paesi produttori del Sud America e del Nord Africa. Ma anche per tagliare fuori i “napoletani”.

 

Nel business della droga erano coinvolte anche altre famiglie, e in particolare quelle di Uditore, Pagliarelli e Corso dei Mille, a Brancaccio, dove D’Ambrogio poteva contare su personaggi storici come Pietro Tagliavia, Giovanni Alessi, Vincenzo Ferro e Francesco Scimone e con i narcotrafficanti mazaresi Salvatore Asaro e Umberto Sisia. Asaro viene intercettato mentre parla con un sudamericano (ancora da identificare):  “… Mi ascolti? Qui non c’è più tempo di scherzare. Lo scherzo è finito … se dobbiamo lavorare, lavoriamo. Se non dobbiamo lavorare, io …la finiamo qua. … Perché qua le cose sono serie, molto serie” / “io mettiamo sono il responsabile di tutto, io. Ci siamo?” / “Ho detto due parole, vuoi la Sicilia ti dò la Sicilia, perché sono in grado di dartela. Hai capito! Nessuno è in grado di dartela. Solo io! …”.

 

Diversi gli episodi filmati e intercettati, boss e gregari trattavano ingenti quantitativi di droga. Le indagini hanno permesso anche di intercettare diversi canali di smistamento della droga fra Marsala, Mazara del Vallo, Caltanissetta e Giardini Naxos e di sequestrare, in più occasioni, ingenti quantità di marijuana, hashish e cocaina. 

 

L’organizzazione disponeva di armi da fuoco. Ed era pronta a farne uso, per difendersi in caso di contrasti interni. Anche in questo caso le intercettazioni sono state determinanti. 

 

Nello stessa operazione, sono stati sequestrati beni mobili e immobili per un valore complessivo di circa tre milioni di euro. Fra i beni sequestrati, la “Ovinsicula” di Palermo in cui avrebbe investito Antonino Ciresi, il pub “Day just” di via Bixio a Palermo, riconducibile ad Antonino Seranella così come una barca ed un’auto, un distributore di carburante a Martinsicuro (in provincia di Teramo) i proprietà di una società riconducibile a Vincenzo Ferro, Giovanni Alessi, Pietro Tagliavia e Francesco Scimone.

 

 

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